Recensione – Lacci

Copertina Lacci
Lacci di Domenico Starnone

Recensione

Una famiglia composta da moglie, marito e figli si racconta. Ogni componente racconta una parte della loro vita insieme, vicini e lontani sia fisicamente che sentimentalmente, con il proprio punto di vista, la propria interpretazione degli eventi e le ripercussioni vissute di volta in volta.
La storia comincia ricordando gli anni del fidanzamento fra Vanda e Aldo, un periodo pieno d’amore, ora che l’amore sembra esaurito e i due sono in crisi perché lui ha lasciato casa per un’altra donna. In tutto questo, ci sono i figli piccoli che risentono della separazione e i tentativi di Vanda di far riavvicinare il marito. La donna mette in discussione se stessa e il pensare comune dell’epoca a cui tanto il marito si attiene ma solo per liberarsene. Aldo vuole liberarsi delle costrizioni ideologiche e sociali, o forse è solo una scusa per inseguire le sue voglie e un nuovo brivido di vitalità che nella struttura di famiglia non c’è più. I tentativi di Vanda sono vani finché non sarà Aldo a ritornare dalla famiglia, ma così facendo lui dovrà sottomettersi a tacite imposizioni per il quieto vivere.
Dopotutto, i lacci erano annodati da tempo e liberarsene è impossibile o sconveniente.
Ritroviamo la famiglia dopo parecchi anni, quando Vanda e Aldo vivono ancora insieme e i figli hanno preso le loro strade. Quello che all’apparenza sembra un furto in casa al rientro delle vacanze, è il pretesto per scoprire i legami che li tengono ancora insieme e le conseguenze di una vita vissuta per inerzia e dovere morale. Anche i figli hanno ora voce in capitolo e rivelano quanto siano stati segnati dalla separazione dei genitori prima e la loro riunione dopo. Al mistero di chi è entrato in casa dei due coniugi e perché abbia messo tutto sottosopra, si contrappone la soluzione del perché, in un epilogo in linea con l’intera storia.

Domenico Starnone scrive con uno stile semplice e tagliente allo stesso tempo. Capace di dare profondità alle vicende narrate con pensieri toccanti tratteggiati da parole scelte con cura, l’autore mette in scena uno spaccato di vita con un taglio “chirurgico”, così che il lettore arriva a vedere fin nelle viscere dei suoi personaggi.
Altro aspetto degno di evidenza è la capacità di rappresentare visioni contrastanti dei protagonisti che si incastrano in un’incomprensione di fondo che alcuni cercano di chiarire, altri cercano semplicemente di superare. Da un lato assistiamo alla forza del dialogo, dall’altro al fallimento di tale mezzo di comunicazione. Da un lato si scoprono le ferite, dall’altro si nascondono nell’attesa che guariscano, ma così facendo lasciano le cicatrici.
I legami di parentela sono stretti in un nodo gordiano che nessuno ha il coraggio di tagliare, arresi come sono alle loro esistenze dopo aver cercato di cambiarle perfino in modo tragico.
Questo più di ogni altra cosa fa riflettere: il dubbio se Vanda e Aldo si siano arresi alle circostanze o alle loro viltà, come i figli alla loro origine o al loro destino. Sono quello che sono per gli eventi che hanno vissuto oppure perché sono ciò che sono sempre stati. Questo è l’ennesimo nodo della storia che non si può sciogliere.
Emblematico è il mettere e il trovare la casa a soqquadro, per me questo evento rappresenta lo sconquasso interiore dei personaggi e il loro modo di agire in una sorta di “tutto cambia affinché nulla cambi”. La rivoluzione è solo apparente.
Si tratta di rimettere in ordine la casa, nascondere sotto il tappeto la polvere rimasta e andare avanti come si è sempre fatto, pur con qualche pezzo in meno. Per salvare le apparenze, per anestetizzare il dolore. Un’anestesia del dolore che fa più male del dolore stesso, semplicemente è più sopportabile.
Ogni lettore troverà in questo libro una propria visione della vita, per questo lo consiglio a chi vuole una lettura profonda sulla natura umana.



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